Bernardo MOLINAS AGNELLINI

Pittore - Frescante

PhD in Fisica

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GALLERIA Molinas

 

  

 

Nota di Bernardo Molinas nel Libro di Gianfranco Missiaja

“Arte Contemporanea - Difficile capirla?” (Edizione 2014; pagine 100 – 113).

APPENDICE: Foto delle Opere (e "Oggetti") citati nella Nota

 

 " Su ‘formazione’, ‘percorsi’, ‘influenze’, ‘sezione aurea’ e ‘armonia’  "

      

 

 

Bernardo Molinas Agnellini

Dottore di ricerca in fisica, ricercatore in scienza dei materiali e beni culturali.

Insegnante di restauro e tecnica dell’affresco.

 

Rispondo con piacere all’invito dell’autore di questo encomiabile libro ad esprimere alcune mie opinioni sull’arte contemporanea sottolineando per primo il mio apprezzamento per il concetto con cui conclude la sua Prefazione:

“… ‘non è bello ciò che è bello e ciò che piace, ma ciò che si capisce’; io aggiungerei: ‘per capire è necessario sapere’…”

Anch’io ho sempre pensato, infatti, che in arte, come nella scienza o come in qualsiasi altra disciplina, prima l’informazione, ma soprattutto la “formazione”, siano necessarie per poter avere idee proprie, per poter esprimerle e discuterle, infine per capire. In definitiva, vediamo e potremmo apprezzare solo quello che conosciamo o stiamo imparando a conoscere.

Avrete sicuramente avuto quest’esperienza: venire a sapere di una nuova parola o imparare una parola in un’altra lingua e, successivamente e sorprendentemente, in meno di ventiquattro o al massimo quarantotto ore, ascoltarla o leggerla “per la prima volta”.  La parola era stata in realtà sempre lì, solo che non eravate in grado di coglierla. Lo stesso succede di ritorno da un viaggio in un altro paese: non abbiamo ancora svuotato le valigie che già incominciamo a sentir  parlare alla radio o in TV di alcuni aspetti turistici o storici o artistici del paese appena visitato. Di nuovo, si parlava già prima, ma per noi il paese é come se non esistesse e perciò non eravamo in grado di apprezzare niente della sua cultura, o della sua storia o della sua gente.

 

     Sulla  nostra formazione

Tornando a temi legati all’arte, sorprendo a volte amici, o assistenti ai miei corsi o conferenze, raccontando che, ad esempio, agli Uffizi sono stato cinque volte, alla Villa Pisani affrescata dal Tiepolo dieci, alla Cappella Sistina quattro volte, alla Cappella Scrovegni dieci, ecc.

E’ che si tratta del fatto che, come nel caso dei libri letti più volte o dei film visti due o tre volte, ogni nuova visita ad un museo o ogni nuova lettura, ci consente di osservare nuovi  e interessanti particolari di un quadro, di leggere in un modo diverso un messaggio dell’autore di un romanzo o di confermare qualche nostra idea sull’opera o sull’autore letta o elaborata prima, forse chiacchierando con gli amici. Nel tempo avremo accumulato un po’ d’informazione e, se abbiamo avuto anche qualche tipo di “formazione”, ad esempio attraverso il pensiero o gli stimoli di un buon insegnante in qualche corso o qualche seminario, saremo cambiati addirittura anche noi. Certo è che ho visitato anche il GAM di Milano, il MART di Rovereto, la Galleria di Arte Moderna e il MACRO di Roma, il Guggenheim di Venezia, ecc. per parlare solo di gallerie e musei italiani.

Non solo per l’arte contemporanea, ma anche per tutti i diversi periodi dell’arte, possiamo evidenziare che è utile ‘sapere per capire’. Basti un esempio: l’Italia ha una ricchezza quasi infinita che riguarda la pittura parietale ad affresco. In principio tutti i turisti italiani o stranieri la guardano con curiosità e si può dire che l’apprezzano. Tuttavia ho l’impressione che non riescano ad apprezzarla nella giusta misura. Ad incominciare dal fatto che non sono in molti, in realtà, a sapere in dettaglio com’è che si dipingono. Senza dover arrivare all’acuto giudizio del Vasari nel suo libro "Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti", “… di tutti gli altri modi, che i pittori facciano, il dipingere in muro è il più maestrebole e bello, perché consiste nel fare in un giorno solo quello che, negli altri modi, si può in molti ritoccare sopra il lavorato…. vuole  ancora una mano destra, risoluta e veloce, ma soprattutto un giudizio saldo ed intero …”, basta ricevere un minimo di nozioni - sulla stesura della malta fresca per dipingere solo quello che si può in una giornata, che la calce deve essere spenta  molto tempo prima, che la sabbia deve essere di fiume, che sono pochi i pigmenti disponibili resistenti alla calce, che il frescante utilizzava a volte un “cartone” e lo spolvero al posto del disegno preliminare, che non sono ammessi i pentimenti - per osservarli con altri occhi, ammirare ancora di più il lavoro di squadra che richiedevano e l’esperienza e sapienza del maestro. E’ solo adesso, come l’autore di questa nota propone nel sito  http://www.amadeieuroartgarda.it/NOTA-2-i.htm,  che si riesce a godere tutto lo spettacolo compositivo, materico, cromatico ed  estetico imprigionato per secoli nell’intonaco: “quei pigmenti inglobati nella materia sono passati a fare parte della stessa architettura e con loro tutti i messaggi, le idee e i concetti di bellezza e di armonia del maestro si impadroniscono dello spazio e del tempo”. 

 

       L’importanza dei percorsi

Cerchiamo però di entrare nel vivo dell’oggetto di questa nota. Il paragrafo precedente introduce il concetto di “percorso” per chi si avvicina a vedere e giudicare un’opera contemporanea. A maggior ragione un “percorso”, pensiamo, è necessario per chi l’opera la genera (il pittore, lo scultore, il costruttore di un’installazione o il disegnatore di una performance). Il percorso era ovvio o scontato per l’arte fino a poco tempo fa. E’ impensabile - anzi, è ridicolo - immaginare che un artista come un violinista possa salire su un palcoscenico senza dominare la tecnica di uno strumento che addirittura richiede la cosiddetta "memoria muscolare". Di fatto non si tratta solo della conoscenza della tecnica che ad ogni modo è la premessa iniziale. Infatti, senza la padronanza della tecnica non è fattibile la successiva interpretazione del pezzo come  immaginato dall’autore, non è possibile l’emozione del musicista, non è possibile emozionare l’ascoltatore. Un secondo esempio, forse più chiaro e ancora più forte, può riferirsi ad uno scultore che voglia oggi scolpire in marmo un corpo umano partendo da un blocco di materia, uno scalpello, una lima ed altri utensili del mestiere. I due esempi scelti tra altri tanti possibili sono in un certo modo “drammatici”. Si dimostra anche troppo facilmente che generare senza “percorso” una composizione di Bach o di Mozart, o una scultura come il Davide o il Ratto di Proserpina, che possano emozionare il pubblico, come queste opere lo fanno ogni giorno e da secoli, è impossibile.

 

Per quanto attiene alla pittura possono essere dette le stesse cose. Un grande pittore e muralista argentino, Cèsar Lòpez Claro, in un’intervista (Bernardo Molinas ed Estela Gagneten, Santa Fe, 2003) da noi effettuata all’artista, ci aveva spiegato che “la pittura senza disegno non è nulla”. “Il disegno è la base. Come fondamento per uno studente dico che dovrebbe disegnare e disegnare. Quasi come un'ossessione. Chi disegna male, o ha un disegno povero, non può dipingere. Potrà mettere colori sulla tela ma sarà debole”. Il critico d’arte Rafael Schirru, che era stato direttore del museo MAMBA di Buenos Aires, aveva una convinzione vicina al concetto di Lòpez Claro o, addirittura, più cruda: “E’ detto che si può disegnare bene e non necessariamente saper dipingere. Ma non è possibile dipingere bene (sia per la pittura figurativa come per la pittura astratta) senza saper disegnare”. Ingres aveva scritto: “Il disegno è la probità dell'arte. Il disegno comprende tutto, fuorché la tinteggiatura. Tutta la pittura risiede nel disegno saldo e nello stesso tempo fine”.

Già con quest’ultimo esempio sulla pittura potremmo incominciare ad avere una certa difficoltà per far sì che si verifichi la premessa, delineata poc’anzi, del “percorso necessario” introdotto dall’autore della presente nota. Incomincia ad essere fattibile, ad esempio nel caso della pittura astratta,  che venga generata una così detta “opera d’arte” anche da uno studente che non sa disegnare bene o che non sa disegnare o, peggio ancora, che è addirittura incapace di disegnare. Si può dire allora che quest’opera, se non si trova l’opinione dell’artista o del critico o del maestro, quelli che sono in grado di osservare la debolezza o le manchevolezze motivate dall’assenza di padronanza del disegno - anche se la stesura dei pigmenti non richieda un disegno preliminare - rischia di essere dichiarata  da qualcuno, senza titoli per parlare, “un’opera d’arte”. Qualcuno potrà opinare: non importa come è, basta che piaccia. Una delle risposte è quella sopracitata: la proposta pittorica non può che essere debole.  E allora chi sarebbero quelli con “titoli per parlare o giudicare”? Di nuovo, pensiamo, solo quelli che abbiano compiuto un “bel percorso”.

L’arte contemporanea, allontanandosi in molti casi dalla pittura su tela o su muro e dalla scultura su marmo, bronzi o legno, o dall’architettura, introducendo e manipolando oggetti della vita di tutti i giorni, mette tutti gli attori del settore in difficoltà: si tratta di opere d’arte? E soprattutto chi è autorizzato a dichiararle “opere d’arte”?

 

Fin qui abbiamo discusso sui “percorsi” dell’osservatore e dell’artista. Un altro aspetto importante da considerare è quello del “maestro”. Un professore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, con cui ho fatto un corso come allievo e di cui ho potuto apprezzare le opere nel suo atelier e in una mostra antologica, che ho potuto ascoltare molte volte su temi di arte e sulle tecniche pittoriche, mi ha detto un giorno una cosa molto chiara: “uno è il suo maestro”. Credo di avere capito il suo messaggio profondo: si imparano senza dubbi alcune cose da autodidatta ma, senza un maestro (con, a sua volta un “suo percorso”, come abbiamo segnalato prima), le proposte senza riferimenti  saranno per forza deboli e addirittura esibiranno tutti o tanti degli errori che invece il maestro, e il maestro del maestro (e così indietro nel tempo i loro maestri), hanno già eventualmente commesso e corretto.

Infatti, mi aveva  fatto tenerezza ascoltare in un’intervista ad un pittore inglese radicato in Toscana, rispondere alla domanda “… lei avrà forse basato la sua pittura su alcuni o tanti dei fantastici pittori italiani che possiamo tutti andare ad osservare nei musei e palazzi di Firenze, Siena, Pisa o Prato?” dicendo: “non sono mai andato a vedere niente; la mia è una pittura completamente personale e senza influenze”.

E tornando al maestro, una cosa più importante ancora: l’allievo riceve da lui o lei, idee, sicurezza, consigli e convinzioni anche legate alle sue esperienze personali e non solo rispetto alle tecniche utilizzate.

 

       Le influenze salutari

Possiamo aggiungere in questo modo ai requisiti del “percorso” e del “maestro” un nuovo aspetto: “le influenze”. In un articolo (“Giandomenico Tiepolo: un errore e una predizione in un affresco del ‘700 ?”) pubblicato sul sito web ‘VenicExplorer’ :

"http://ombra.net/observer/index.php?modulo=view_article&articolo_id=1628"articolo_id=1628

http://www.amadeieuroartgarda.it/Nota-su-un-Errorino-e-una-notevole-Predizione-di-Giandomenico-Tiepolo.pdf

avevamo aperto una discussione su “errori”, “regole” e “influenze” in pittura o nell’arte in genere:  

“Certamente la prima cosa da dire e accettare è che, in arte, il pittore ha la libertà assoluta di fare quello che vuole e senza regole. Può perfettamente ignorare le regole della prospettiva che i grandi maestri italiani avevano stabilito già nel ‘400. Infatti, “errori” di prospettiva si osservano spesso in quadri d’arte moderna o contemporanea. E’ possibile suggerire invece che un pittore con esperienza può violare le regole sempre che sia consapevole di farlo. Di solito questo diritto si acquisisce dopo avere lavorato accanto ad un maestro e frequentato un certo percorso artistico dimostrando così di avere capito le regole, conoscere quello che hanno fatto prima i grandi maestri e riconoscere le influenze inevitabili e salutari di alcuni di loro sulla sua proposta.”

 

       Davanti ad alcune opere d’artefont>

Proviamo adesso, muniti degli elementi sopracitati, a porci davanti ad alcune opere d’arte. Cercheremo di capire se le opere risvegliano un’emozione, un piacere estetico (intendendo ancora per estetica la classica definizione che associa estetica al bello), se si coglie un’idea originale o un messaggio di armonia, o se, eventualmente, si cerca di presentare una denuncia.

Tra tantissimi esempi possibili proporrò i seguenti: Francesco del Cossa (pittore tardogotico del ‘400), Giambattista Tiepolo (pittore del Rococò nel ‘700), Pablo Picasso (pittura Moderna), Marcel Duchamp (periodo Moderno), Damien Hirst  e Vanessa Beecroft (periodo Contemporaneo).

Impossibile non godere, osservando nel Salone dei Mesi, “Marzo”, “Aprile” e “Maggio” di Francesco del Cossa, affreschi dipinti nel Palazzo Schifanoia, a Ferrara, nel XV secolo. Questo ciclo sorprende subito per l’armonia della composizione e per la delicatezza nelle scelte cromatiche. Pittore sconosciuto prima per me e sconosciuto ancora per tanti colleghi che seguono l’arte come scrivevo nell’articolo “E’ scoraggiante o … Chi lo conosce Francesco del Cossa?”, pubblicato sull’“Istituto delle Ricerche”, pubblicazione in lingua italiana e spagnola, Santa Fe, Argentina, 1999. Del Cossa dipinge ad esempio, in un particolare, le Tre Grazie con una notevole “grazia”, parecchi anni prima delle più famose de “La Primavera” del Botticelli.

 

Della vastissima opera del Tiepolo citiamo solo un bozzetto per l’affresco della Kaiser-Saal nella Residenz Wuerzburg,  in Germania. Il piccolo olio su tela, quasi perso nella Staatsgalerie di Stuttgart tra quadri di Picasso, Monet e Gauguin, mi aveva invece attirato, dopo più di duecento anni, con la freschezza del suo disegno veloce e per la composizione che, successivamente, diventa grandiosa nell’affresco sul soffitto della Sala dell’Imperatore. Quest’opera, assieme all’affresco dello Scalone d’Onore vengono considerate dai critici come i due massimi capolavori del Giambattista.

Davanti al “Guernica” di Picasso, del 1937, oggi al Museo Nacional Reina Sofia di Madrid, uno potrebbe non aspettarsi un godimento estetico, visto il tema dell’opera: l’uccisione di civili nel bombardamento del paese basco Gernika, da parte di una potenza straniera. Invece ci attira l’armonia della composizione, a parte la proposta molto grafica dell’autore con la ormai celeberrima testa a goccia d’acqua, molto “picassiana”, di una donna. Il quadro, considerato da tanti come il più importante del XX secolo, non sarebbe altro che un copia-incolla, dalla “Strage degli Innocenti” di Guido Reni, del 1612, come risulta dalle osservazioni dell’artista Bruno Fermariello in un’intervista di Brunella Schisa su “Il Venerdì della Repubblica”. Simile è la struttura a “W” della composizione, uguale addirittura la testa a goccia d’acqua della madre col bambino nelle braccia del Reni, e con almeno cinque importanti elementi identici situati in zone identiche del quadro: le due donne con la bocca aperta e il bambino in braccio che fuggono, due oggetti al centro dei quadri portati da un braccio teso: una lampada dove c’era un pugnale, luce che illumina dall’alto la scena da una lampada elettrica al posto della luce da due angeli del Reni, vittime per terra in basso, mantelli - con triangoli - proprio identici nelle figure a destra. Quest’ultimo, per l’autore della presente nota, è un dettaglio rivelatore; una tale coincidenza è altamente improbabile.

Di Marcel Duchamp vogliamo citare la sua opera presentata alla Biennale a Venezia: “La porta” o più precisamente “11 Rue Larrey, Paris”. E’ del giornale di Venezia, “Il Gazzettino”, la tragicomica notizia che “gli imbianchini incaricati di dare una rinfrescata al padiglione della Biennale, ricoprirono la porta con un paio di mani di vernice. Infatti  era una porta come le altre. Non sapevano però che si trattava di un’opera del dadaista Duchamp”. Più assurdo ancora: avrebbero vinto la causa gli eredi di Duchamp che hanno chiesto un risarcimento danni.  Ho avuto l’occasione di vedere una delle porte di Duchamp alla Staatsgalerie di Stuttgart. Emozione: nessuna. Armonia: solo la normale geometria di un oggetto fabbricato già migliaia di anni fa dagli artigiani. L’aneddoto che riguarda la semplicità e ingenuità dei due imbianchini mi fa ricordare per certi aspetti la fiaba del danese Hans Christian Andersen nella quale il bimbo esclama “ma… il Re è nudo …”. Solo che il caso veneziano è un caso reale.

Arrivando al periodo contemporaneo citeremo “Mother and Child, Divided”, una mucca con il suo vitellino tagliati a metà e conservati in formaldeide, presentati da Damien Hirst alla Biennale di Venezia del 1993. Di nuovo ci troviamo di fronte ad un caso di emozione zero. A meno di non voler classificare come emozione la repulsione di fronte ad immagini, questo sì, nuove per gli spettatori, frutto di un’azione che non è nemmeno quella normale e che ha un senso, di un macellaio, che separa sapientemente - non è da tutti fare questo mestiere - i diversi pezzi per il suo consumo o dell’anatomo-patologo che fa dei tagli con molta cura per effettuare studi. Armonia: nessuna, a meno di tener conto solo delle parti intere dove l’armonia degli animali (ad esempio la loro simmetria) è da attribuire solo all’Evoluzione delle Specie.

Per ultimo, citiamo la performance “VB45” dell’italiana Vanessa Beecroft (del 2001 a Vienna). Presenta diverse file di donne statiche, in silenzio. Ritroviamo un messaggio di armonia. Quale l’origine? Il solo fatto di allineare i corpi viene a mettere in risalto la prospettiva, come quando si dispongono file di colonne sotto i portici le quali generano automaticamente un fatto estetico, gradevole. Già lo diceva tanti secoli fa Paolo Uccello: “Oh che dolce cosa è la prospettiva”. La professoressa in arti visive Angela Vetesse (in “Capire l’arte contemporanea”, Ed. Umberto Allemandi & C., Torino, 2006) ci dà una chiave di lettura per la performance: “da un lato Beecroft produce dei “tableaux vivants” che si ricollegano ai grandi affreschi rinascimentali, dall’altro ricorda scene di kolossal”.

 

       Messaggi d’armonia

A questo punto posso dire che ho ricevuto messaggi di armonia ed emozioni da due artisti, del Cossa e Tiepolo, per me all’epoca - non ho problemi ad ammetterlo - totalmente sconosciuti. Non avevo pertanto “l’obbligo”, da parte di amici o da una guida di un museo, di apprezzarli a tutti i costi.

Riguardo il “Guernica”, allora, quando ci si emoziona davanti alla lunga tela bianca, stiamo in realtà, inconsapevolmente, ricevendo il messaggio estetico di Reni. Fra parentesi, andando a visitare la  Pinacoteca Nazionale di Bologna ho ricevuto un’emozione molto più forte di quella del Museo Nacional Reina Sofia. La composizione è talmente energica, ed allo stesso tempo armonica, che questo quadro di Reni risalta su tutti gli altri dello stesso autore nell’ampia sala dedicata al pittore del ‘600.

Duchamp e Hirst soddisfano il primo requisito che ci siamo dati: avevano un percorso alle spalle. Tuttavia come idea, la semplice manipolazione di oggetti, i cosiddetti “ready made” o simili proposte (porte, latrine, pesci-cane, corpi umani senza la pelle o Körperwelten, ecc.), ha un punto debole o molto debole: non hanno armonia, non emozionano, sono oggetti costruiti da altri, da artigiani o addirittura dalla natura. Piuttosto che voler a tutti i costi inserire questi oggetti nell’arte, è più coerente e trasparente, senza dover aspettare un bimbo che riconosca la nudità del Re, inserirli in una categoria diversa dall’arte, ad esempio, “Collezionismo e Oggettistica”.

 

E quando abbiamo ricevuto di nuovo un segnale di armonia? In una performance attuale (la performance “VB45”), ma che giustamente richiama le composizioni degli affreschi del Rinascimento.

 

       Sezione aurea e carattere intrinseco

Ma allora … può mancarci ancora un elemento o requisito importante per giudicare o percepire o apprezzare o creare qualcosa che pretenda di essere chiamata “artistica”? 

E’ possibile che l’aspirante “artista” sfiori l’arte quando consapevolmente, o anche con l’inconscio o con le influenze esplicite o implicite, si avvicini con la sua composizione o con la sua scultura o con la sua installazione o con la sua performance ad alcuni concetti o elementi o proporzioni tra elementi come la simmetria, la prospettiva, la “Sezione Aurea” o  “costante di Fidia”, le “frazioni pitagoriche”, la “Successione di Fibonacci”, le 14 “Reti Cristalline di Bravais” e i 230 “Gruppi Spaziali” che descrivono qualsiasi oggetto ordinato e periodico presente in natura o generato dall’uomo, le costanti della Fisica Quantica e altri, che ignoriamo, ma che possano avere un carattere, chiamiamolo, “intrinseco”, e sia invece lontano quando la sua proposta sia  povera o carente di tali elementi.

  

APPENDICE - FOTO delle Opere (e Oggetti) citati nella Nota di

Bernardo Molinas sull’Arte Contemporanea.

Francesco del Cossa (Palazzo Schifanoia, Ferrara)

 

  

 Giambattista Tiepolo – Bozzetto per l’affresco alla KaiserSaal della

 Residenz Wuerzburg, Wuerzburg, Germania

 

Giambattista Tiepolo - Affresco alla KaiserSaal -

 Residenz Wuerzburg

 

 

Picasso ("Guernica") -  (da una Nota di  Bruno Fermariello)

Guido Reni    - “Strage degli Innocenti" (nel Museo di Bologna)

 

Guido Reni    - “Strage degli Innocenti" - Dettagli 

 

  Marcel Duchamp

 

 

Damien Hirst

 

 Vanessa Beecroft

 

 

Proporzioni di Fibonacci (vedi ad esempio il Libro “La Sezione
Aurea”, Mario Livio, Ed. Rizzo)